Non solo slogan: il judo dimostri davvero di essere “more than sport”

Ricordiamo l’accaduto. Olimpiadi di Rio 2016. Judo, ovviamente. Categoria +100Kg, 16mi di finale.

Islam El Shehaby إسلام الشهابي‎‎, egiziano già bronzo ai Mondiali di Tokyo 2010 e bronzo ai Giochi del Mediterraneo nel 2005 e nel 2009, incontra Or Sasson אור “אורי” ששון, israeliano già argento agli Europei di Kazan 2016 e agli European Games di Baku 2015. L’incontro termina grazie ad un bell’ippon di morote-seoi-nage di Sasson.

Fin qui nulla di strano, ma poi accade che al momento dell’assegnazione della vittoria El Shehaby non solo non faccia il saluto (gesto obbligatorio), ma quando Sasson si dirige da El Shehaby per stringergli la mano (gesto non obbligatorio ma ormai di prassi) quest’ultimo lo ignora, esce dall’area di combattimento senza fare il saluto (altro gesto obbligatorio) e si dirige verso l’uscita dal tatami. L’arbitro se ne accorge, lo richiama, e ovviamente lo obbliga a fare il saluto all’uscita dell’area di combattimento. El Shehaby fa una specie di cenno con la testa e se ne va.

Ora, se questa è stata la dinamica dell’accaduto, prima di esprimere un giudizio bisogna chiarire alcuni punti.

  1. L’atleta egiziano -come riportano autorevoli fonti- è un musulmano salafi ultraconservatore.
  2. Nei giorni precedenti il combattimento, sia via tv che tramite social media, c’è stata una forte pressione sull’egiziano affinché non combattesse l’incontro, a causa delle conseguenze di un’eventuale sconfitta.
  3. Il contesto è quello delle Olimpiadi, che come tutti sappiamo, si fanno veicolo di altissimi principi morali. Dal sito ufficiale:

    The goal of the Olympic Movement is to contribute to building a peaceful and better world by educating youth through sport practised without discrimination or any kind, in a spirit of friendship, solidarity and fair play.

  4. Lo sport in questione è il judo, che -sennò non starei qui a scriverne- è “more than sport”.

Con questi quattro punti ben in mente, è evidente che non si può non condannare il gesto e il comportamento di El Shehaby. Ma su che piano bisogna ragionare?

Dal punto di vista strettamente sportivo, è un comportamento immorale, non regolamentare, che lede i valori olimpici, ma non tale da essere inquadrato come atto brutale e quindi di competenza degli organi di giustizia sportiva.

Il CIO ha effettivamente preso posizione in merito e difatti, notizia odierna, la Commissione Disciplinare è intervenuta con queste parole:

The Disciplinary Commission (DC) considered that his behaviour at the end of the competition was contrary to the rules of fair play and against the spirit of friendship embodied in the Olympic Values, as well as a severe reprimand, the DC has asked the Egyptian Olympic Committee to ensure in future that all their athletes receive proper education on the Olympic Values before coming to the Olympic Games,

facendo notare altresì come “the Egyptian Olympic Committee has also strongly condemned the actions of Mr Islam El Shehaby and has sent him home“.

Dunque si può dire che l’antisportività di El Shehaby è stata considerata dal CIO, giudicata come tale, e giustamente condannata “a parole”.

Ma il quarto punto ci impone un’analisi ad un livello più profondo di quello strettamente sportivo…

Cito testualmente da Ju no Kokoro l’art. 4 del “Regulations Providing For Qualifications For Dan Promotion” del 1° agosto 1957 e revisionato l’ultima volta il 14 giugno 1999:

Nel valutare i candidati per la promozione ai dan sono considerati personalità, acquisizione dello spirito del jūdō, grado della comprensione del jūdō e maestria nella tecnica, applicazione pratica del jūdō alla vita quotidiana e contribuzione al jūdō. Coloro che hanno un carattere meschino e i cui comportamenti divergono dallo spirito del jūdō non saranno promossi a prescindere da qualunque altro merito.

Ma già lo Shihan nell’“Orientamento sulla promozione dei gradi” del giugno 1918 affrontava l’argomento:

Mi viene in mente un esempio accaduto di recente: c’era un allevo non portatore di dan reputato da molti di capacità paragonabile al 1° o addirittura al 2° dan sia nella tecnica che nella incidenza di proporzione, ma conosciuto d’altro canto come individuo dalla condotta poco raccomandabile. Un’indagine su queste dicerie rivelò una moralità alquanto disdicevole che non lasciava adito a un’eventuale correzione. Per questo la giuria non poté promuoverlo alla qualifica di dan ed egli rimase e tuttora rimane nella classifica dei non portatori di dan.

E dunque se Jigoro Kano considerava una moralità disdicevole un motivo sufficiente per la non-promozione al 1° dan al di là di qualunque straordinaria abilità tecnica, a mio vedere significa che la cintura nera questi soggetti non la meritano. La cintura nera, che da molti esperti è considerata il punto di partenza (e infatti lo è), è tuttavia -prima di ciò- un traguardo. La cintura nera va conquistata, va meritata, e non solo con il sudore sul tatami ma anche con le azioni, sul tatami e fuori.

Perciò, laddove i principi generali dello sport si fermano, subentrano quelli del judo.

Dall’IJF “Code of Ethics” del 17 maggio 2013 (sì, esiste un documento ufficiale di ben 6 pagine a riguardo):

The competitors, and especially the Champions, are the face of judo; they must convey, through their behaviour, the educational values and the ethics of our discipline. The champions on and off the mat represent the image of judo.

Quindi l’IJF ha tutti i poteri di intervenire in modo ufficiale sull’evento, ma personalmente temo che si risolverà tutto in una bolla di sapone con la fine delle olimpiadi. Tuttavia ciò non deve impedirci di condannare duramente il comportamento di El Shehaby perché è evidente che lui del judo non ha capito niente.

Qui però qualcuno potrebbe obiettare ribadendo il punto 1, ovvero i motivi religiosi (e quindi politici) che hanno spinto El Shehaby a non accettare la sconfitta: un egiziano musulmano che perde in modo netto e inequivocabile ad “armi pari” contro un israeliano ebreo e gli dà la mano al termine del match? Per un certo tipo di opinione pubblica potrebbe costituire una vera e propria eresia, ma per persone civili e culturalmente avanzate no. Anzi. E dico ciò al di là di ogni discorso nel merito del conflitto israelo-palestinese (benché le responsabilità maggiori siano evidentemente da imputare alla politica espansionistica sionista), poiché la religione (e quindi la politica) deve assolutamente restare in una sfera disgiunta da quella dello sport.

There shall be no discrimination between the participants on the basis of race, gender, ethnic origin, religion, philosophical or political opinion, marital status or other grounds.

Prima lo capiranno gli atleti che salgono sul tatami, prima lo capiranno i media, prima lo capirà anche la gente.

Rio 2016

Luca Stornaiuolo

Arbitro Nazionale Coni-Fijlkam di 1ª categoria, 4° dan di jūdō, allievo del maestro Raffaele Parlati 7° dan della Nippon Club Napoli, membro della Rappresentativa Campana dal 1999 al 2003 e di Kata dal 2008 al 2012. Diplomato al Kōdōkan di Tōkyō in jū-no-kata e Kōdōkan-goshin-jutsu. Ingegnere informatico, lavora come Senior Software Engineer. Autore del libro "Jū no Kokoro - Le mie ricerche di jūdō - Vol.1".

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