Prima apprendi, poi distaccati, infine trascendi

Prima apprendi, poi distaccati, infine trascendi” è la traduzione più vicina all’italiano della bellissima espressione giapponese shu-ha-ri (守破離). L’immagine che nasce da tale concetto è quella del cerchio che si richiude nell’esatto punto di partenza (l’ensō 円相), idea tanto cara alla tradizione nipponica ed enormemente piena di significati simbolici.

Ensō 円相

Ensō 円相

Shu-ha-ri rappresenta idealmente i tre grandi livelli di apprendimento di qualsiasi disciplina giapponese (marziale e non) ed ha origini antichissime, risalenti al famoso teatro  (能) del XIV secolo. Da lì è stata ripresa ed utilizzata da vari maestri di arti marziali, fino a giungere al maestro Morihei Ueshiba, fondatore dell’aikido. Un altro grande maestro di aikido – Endo Seishiro 8° dan – descrive, in una intervista del 2005, il concetto di shu-ha-ri con queste parole:

È cosa nota che, quando impariamo qualche cosa, passiamo attraverso gli stadi di shu, ha e ri. Questi livelli si possono spiegare nel seguente modo: nella fase di shu, noi ripetiamo delle forme e ci addestriamo cosicché i nostri corpi assorbano le forme che i nostri antenati hanno creato. Rimaniamo con fiducia nelle forme e non ci distacchiamo mai da esse. In seguito, nella fase di ha, una volta acquisite le forme ed i movimenti nonché la disciplina di noi stessi e del nostro corpo, noi creiamo delle innovazioni. In questo processo le forme potrebbero venire distrutte e scardinate. Infine, nella fase di ri, deroghiamo completamente alle forme, apriamo la porta a tecniche innovative e raggiungiamo luoghi ove agiamo in accordo con i desideri della nostra mente e del nostro cuore, senza alcun ostacolo, pur non oltrepassando mai alcuna legge.

Invece il grande maestro Cesare Barioli si esprimeva – parlando di sé e della sua attività di insegnante tecnico – semplicemente con queste splendide parole:

Ho trasmesso con shu, molti hanno raggiunto ha, forse alcuni sono arrivati a ri.

Dunque, come detto, questo concetto esprime la progressione tecnica (e morale) necessaria ad un praticante per raggiungere il rango di maestro. Più da vicino, questa progressione può essere vista nel modo seguente:

  1. Shu = è la fase in cui si obbedisce; questa fase si identifica con il sapere e la saggezza tradizionali; si imparano i fondamentali e le tecniche; si studia e si pratica sotto la guida dello stesso maestro;
  2. Ha = ci si distacca da tutto; questa fase si identifica con la rottura della tradizione; si sperimenta; si conoscono e si provano nuove cose; è molto facile che si abbandoni il proprio maestro per seguire altre strade e maestri diversi;
  3. Ri = si compie “il grande salto”: si va oltre; questa fase si identifica con la trascendenza; non ci sono più tecniche da imparare; non è più necessario alcun maestro, tutti i movimenti ed i gesti sono naturali, si diventa un tutt’uno con il proprio spirito senza aggrapparsi ad alcuna forma; si trascende il livello fisico dell’esistenza: si diventa un maestro.

E a ben vedere, se ciascun praticante analizza a fondo con sincerità ed obiettività se stesso ed il suo livello può collocarsi senza dubbio in una di queste grandi tappe.

Un altro eminente maestro di judo – nonché Dai Shihan della Katori Shintō-ryū – Shiigi Munenori 8° dan, si esprime nei termini seguenti:

La filosofia del budō è la stessa della vita quotidiana. È molto difficile da spiegare. In genere studiando i kata si può cominciare a percepire il budō, ma non si tratta della sua vera essenza. Ci sono altre esperienze necessarie per comprendere il vero budō. E sono infinite. Questo è shu-ha-ri. Ci si può addentrare senza fine nel budō. Il budō è infinito.

In un commento relativo ad un post su Facebook, il maestro Umberto Bino – esperto judoka italiano – commenta con queste esatte parole l’espressione shu-ha-ri:

Il colmo dell’ironia è che molti invertono il senso della progressione: dopo pochi anni di judo pensano di essere già nella fase ri!

Questo commento ben sintetizza molte delle situazioni paradossali che caratterizzano i sistemi italiani di arti marziali (non solo il judo!). Sicuramente chi è intelligente e sa cosa significhino parole come impegno, dedizione, sforzo e sacrificio non affermerà di certo di essere un esperto – o un maestro – dopo pochi anni di pratica… Ma non tutti a questo mondo sono intelligenti!

Quindi ecco cos’è shu-ha-ri: prima apprendi, poi distaccati, infine trascendi… solo allora, forse, potrai essere chiamato maestro.

Filippo Turrini

Aspirante Allenatore Coni-Fijlkam, 2° dan di jūdō. Allievo anziano dei maestri Doriano Cordioli 6° dan e Dario Vuerich 4° dan, con i quali collabora negli allenamenti giovanili. Dottore Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Verona. Autore del libro "Storia dell'uomo che cambiò il Giappone".

2 commenti:

  1. Filippo Turrini

    Caro Luca direi che la versione definitiva è spettacolare! Tutte le parti dell’articolo risaltano perfettamente, in armonia ed equilibro. E le parole di grandi maestri contribuiscono a rafforzare la verità dei concetti che ho tentato di spiegare…

    • Spesso nel judo e non solo, l’estetica è funzionale.
      È difficile trattare in modo sufficientemente semplice e al contempo esaustivo argomenti come questi, ostici per loro stessa natura, ma anche stavolta il risultato – sebbene sempre migliorabile – mi sembra più che soddisfacente.

      Non multa, sed multum.

Lascia un commento