Il paradosso del sistema

Il maestro Gustavo Salardi, stimato decano del judo italiano, ci rende partecipi dell’opinione del maestro Umberto Bino, uno tra i massimi esperti mondiali di koshiki-no-kata, sulla degenerazione del sistema di graduazione. Della questione, modestamente, posso dire di aver trattato a lungo e con una certa dovizia di particolari nel Capitolo 3 di Jū no Kokoro – Le mie ricerche di jūdō, Vol.1:

La mercificazione e la politicizzazione degli esami di passaggio di grado ha portato all’inflazionamento di cui oggi tutti possiamo essere testimoni.

scrivevo già nell’introduzione, e ora noto con soddisfazione (amarissima soddisfazione!!) che maestri e judoka ben più importanti di me condividono molte delle mie riflessioni e preoccupazioni.

Di seguito quanto scritto dal maestro Bino:

Vorrei precisare per chiarezza che il mio commento non voleva assolutamente essere contro i detentori del 6° dan o contro chi si è sottoposto regolarmente all’esame per il passaggio di grado, ma è contro l’assurdo sistema di graduazione e di esami che non ha un senso logico, perché non permette una progressione nella scala dei valori e dei meriti.

Ci sarebbero da fare interminabili discussioni sul sistema di graduazione e su come viene interpretato, ma basterebbe leggere o far leggere ai dirigenti federali gli scritti di Jigoro Kano sul passaggio di dan per comprenderne il senso logico. Purtroppo il sistema attuale premia più l’arrivismo che il merito. Lo si vede chiaramente (non tutti per fortuna) quando in riunioni tecniche e stage viene portata in bella mostra la cintura bianco/rossa invece che la classica nera. La cintura bianco/rossa dovrebbe essere portata solo in particolari occasioni, per esempio se rappresenti l’insegnante ufficiale o sei in una riunione ufficiale di pari grado. Non ricordo di aver quasi mai visto al Kodokan durante i seminari estivi qualcuno che aveva la cintura bianco/rossa se non era in veste di istruttore ufficiale anche se erano addirittura settimi od ottavi dan. Per la verità solo qualche occidentale che non conosceva l’etichetta in uso al Kodokan la metteva il primo giorno per poi adeguarsi immediatamente quando capiva che era come un pesce fuor d’acqua.

Da noi invece sembra quasi che la cintura bianco/rossa serva più per pavoneggiarsi e per ribadire meriti tecnici, che non è detto che si abbiano. In effetti il sistema attuale di esami non permette una selezione in base alle capacità personali ed ai meriti personali ma solo su una anzianità temporale di permanenza del grado rispetto al successivo senza premiare la capacità judoistica.

Lo stesso problema lo si sta riscontrando attualmente con la categoria degli arbitri di kata. Fino a qualche anno fa i praticanti ed esperti di kata erano pochissimi, poi è scoppiato il boom delle gare di kata e giustamente se vuoi fare le gare devi avere anche gli arbitri, però invece che procedere gradualmente alla formazione di praticanti ed arbitri si è arrivato al paradosso che si è creata una classe arbitrale con persone che non avevano mai praticato kata prima, o praticato in un modo saltuario.

In questi giorni ne ho avuto ulteriore conferma leggendo la circolare della Federazione riguardo al Kodokan Seminar che si terrà a Roma il mese prossimo. Nel comunicato per gli arbitri di kata si dice che: “La partecipazione all EJU Kodokan Course nel koshiki-no-kata produce automaticamente la qualifica di Arbitro Regionale di tale kata. L’acquisizione anche della valutazione minima [almeno 60 punti su 100 che praticamente a meno di essere proprio negato nel judo ed in quel kata non si nega a nessuno] attribuisce la qualifica di Arbitro Nazionale di koshiki-no-kata.

Ora con queste premesse, è possibile che chiunque non abbia mai visto e/o praticato il “koshiki-no-kata” fino al momento dello stage possa giudicare la prestazione di un atleta (uso questo brutto termine) che magari dedica da qualche decennio due o tre giorni alla settimana allo studio ed alla pratica di questo difficile kata.

Questo è il paradosso del sistema.

Il commento del maestro Piero Comino ci illumina con efficacia e chiarezza:

Umberto ha ragione da vendere senza contare che la dicotomia tra qualifiche e gradi crea dei paradossi importanti, per fortuna che c’è il motu proprio e non lo jus

Comunque per i kata dato che ho vissuto ed in qualche maniera collaborato agli inizi il tutto era organizzato per la crescita e poi c’è chi è rimasto nano e chi è cresciuto a dismisura con poi l’aggravante di spostare tutto sulla forma e non sui contenuti, l’obiettivo è apparire non essere!

Difatti, in un post successivo, il maestro Bino continua dicendo che

l’attuale sistema non crea una una selezione piramidale di competenze e professionalità che aiuta tutto il movimento judoistico ad un miglioramento qualitativo. Non essendoci praticamente nessuna differenza di valutazione qualitativa tra un dan ed il successivo, non viene stimolato l’impegno a migliorarsi progressivamente. Questo modo porta ad un ristagno dell’impegno e perdita delle conoscenze judoistiche con il risultato che vediamo ogni giorno nelle nostre palestre.

Il problema è grave ed oramai anche evidente. Fino a quando l’importanza degli esami di graduazione, in Italia così come altrove, sarà considerata così poco, fino a quando non si prenderanno misure adeguate per contrastare il fenomeno dell’inflazionamento dei gradi, sarà legittimo opinare sul giudizio delle commissioni. L’esame deve essere inteso come un momento di formazione, un test prima di tutto di auto-valutazione, e non certo come una formalità burocratica.

L’esame è tale quando c’è una possibilità reale di fallire, quando chi ti giudica lo fa in maniera oggettiva e con competenza. Dunque ci deve essere uno standard, criteri di valutazione e programmi d’esame di riferimento comuni per tutti, cosa che a mio parere manca assolutamente.

Il dan si conquista, si ottiene con il proprio valore e le proprie capacità. Non ci viene concesso – o peggio, regalato – dalla commissione d’esame.

Ripropongo un estratto del mio studio in materia:

Il primo vero e proprio regolamento presumibilmente introdotto dal Kōdōkan Yūdanshakai 講道館有段者会 è conservato nella prima sala del Kōdōkan Museum. Vi si può leggere:

VII. La promozione e l’ammissione ai gradi dan o kyu dovranno essere autorizzati dallo Shihan.

VIII. L’autorizzazione sopra menzionata generalmente sarà promulgata in accordo con le direttive del Kōdōkan Shingikai. Potrà accadere, tuttavia, che tale autorizzazione possa essere fornita direttamente dallo Shihan a seconda delle circostanze.

IX. Le seguenti persone avranno diritto alla nomina al sopra menzionato Shingikai:

I. Coloro i quali hanno ottenuto sufficienti risultati negli esami in base ai regolamenti del Kōdōkan in merito.

II. Coloro i quali hanno ottenuto sufficienti risultati nelle gare del Kōdōkan.

III. Coloro i quali sono raccomandati dal Kōdōkan Yūdanshakai.

IV. Coloro i quali sono raccomandati dagli istruttori locali in quei luoghi del Paese in cui non sono presenti Yūdanshakai.

V. Coloro i quali hanno reso grandi servizi al Kōdōkan o al judo.

Jigoro Kano non aveva sottovalutato l’espansione del judo su scala mondiale e il problema della “gestione” degli esami di graduazione di un così grande numero di praticanti. Il sistema gerarchico degli Yūdanshakai (per certi versi simili ai Comitati Regionali, ma profondamenti diversi nello spirito), in sinergia con un ente centrale autorevole e credibile, può risolvere effettivamente il problema, sempreché si rispettino regole e criteri valutativi standard per tutti, in modo efficiente e senza nepotismi.

Luca Stornaiuolo

Arbitro Nazionale Coni-Fijlkam di 1ª categoria, 4° dan di jūdō, allievo del maestro Raffaele Parlati 7° dan della Nippon Club Napoli, membro della Rappresentativa Campana dal 1999 al 2003 e di Kata dal 2008 al 2012. Diplomato al Kōdōkan di Tōkyō in jū-no-kata e Kōdōkan-goshin-jutsu. Ingegnere informatico, lavora come Senior Software Engineer. Autore del libro "Jū no Kokoro - Le mie ricerche di jūdō - Vol.1".

2 commenti:

  1. Filippo Turrini

    Un articolo inusuale che dà il giusto risalto ai pareri ed alla competenza (e cultura!) dei Maestri di Judo più autorevoli in circolazione, quali sono Bino, Comino e Salardi. Siamo stati capaci, noi occidentali, di occidentalizzare perfino il Judo. Cosa da non credere! Non che in Giappone siano meglio…ma senza dubbio si respira un’aria più rispettosa della tradizione e degli insegnamenti di Kano Shihan.

  2. Ciao Filippo , l’estratto del libro di cui sopra dovrebbero leggerlo in molti, la prima volta che vidi una cintura Bianco-rossa (ero un pischello) ho avuto un timore reverenziale, ora dopo molti anni ho visto che la stessa cintura della quale avevo reverenza e’ stata portata da molti-troppi insegnanti, l’ho vista portare da chi passando da un ente ad un altro e portando con se tot atleti, aveva in “dono” il grado superiore, l’ho vista dare a dei tira-maniche che accerchiavano il Mestrone e dopo averla ricevuta , promuovevano il Maestrone a sua volta al grado di 8 Dan….questa cosa mi ha fatto molta tristezza.
    Non penso che le rgole cambieranno ma penso che finche’ qualcuno con l’umilta’ del fare e il disinteresse del grado continuera’ a fare due Zarei divisi da un ora di sudore e cadute, il Judo continuera’ ad avere un senso…so di essere l’ultimo a poter parlare ma non riuscivo a star zitto….

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