Ikioi e hazumi, o la questione della natura dell’energia

Ikioi

勢: ikioi, hazumi. Calligrafia.

Quando Jigorō Kanō parla di proiezione utilizza due termini: «ikioi» e «hazumi» (勢) per introdurre una distinzione. Queste due parole, che non sono specifiche del lessico del judo, descrivono entrambe l’energia impiegata per portare a termine un’azione. Comprendere la sfumatura di significato che distingue queste due nozioni può essere una chiave per sfruttare meglio le situazioni del randori di judo.

Nel giugno 1900, quando Jigorō Kanō scrive le regole per la competizione, formula così l’articolo 7: «7. Perché nel nage-waza sia assegnata una vittoria per ippon, devono realizzarsi tutte le condizioni seguenti: a. non si deve trattare di una caduta accidentale o dovuta a un errore ma di una caduta causata dall’attacco di uno degli avversari o della sua schivata; b. anche se il tipo di tecnica è talvolta difficile da definire precisamente, il punto essenziale è che la caduta avvenga sulla schiena; c. la caduta deve avvenire con un «hazumi» oppure con un ikioi sufficiente.»[1, 5]

Due mesi più tardi, precisa: «Spiegazione dell’articolo 7 […] Senso del c.: dal momento che è difficile illustrare dettagliatamente questo punto per iscritto, non vi è altra scelta che rimettersi al giudizio degli arbitri ma, se ho stabilito che sia necessario «hazumi» o ikioi, è perché, qualunque sia la qualità del modo di proiettare e anche se il compagno cade sulla schiena, si può difficilmente parlare di proiezione se il corpo non cade a terra con sufficiente forza. Perché altrimenti non si può sapere se la persona non si sia distesa o coricata di propria iniziativa.»[2]

Nel luglio 1930, l’articolo 7 resta invariato, ma la spiegazione è un po’ differente: «Il senso del c. è che, anche quando si provoca una caduta sulla schiena, fintanto che non si fa cadere con sufficiente ikioi o «hazumi», dato che l’avversario non avverte il minimo impatto ed inoltre può subito scansarsi, non si può considerare di avere realmente proiettato, ed è per questo che ho messo «hazumi» o ikioi come condizione.»[3]

A sedici anni di distanza, ikioi e hazumi sono sempre là, anche se la logica della loro presenza è invertita. Mentre nel 1900 queste nozioni erano considerate importanti da un punto di vista esterno, per l’arbitro, nel 1916 quello che importa è l’impressione lasciata sulla persona proiettata. In effetti, senza un minimo di impatto subito e percepito, senza un istante in cui si resti incapaci di reazione, è difficile sentire «nella propria carne» la sconfitta, o piuttosto il fatto di essere stati effettivamente proiettati dal compagno.

Atto di forza contro ingegnosità

In entrambi i casi, si è detto, si tratta di energia, di slancio. Si tratta quindi di proiettare con sufficiente energia, forza. Ikioi e hazumi indicano infatti due modalità differenti di ottenere e poi sfruttare questa energia.

Ikioi, è la pressione che si esercita, è la forza virile, è l’energia che viene da noi stessi, quella che esprimiamo per avanzare. Proiettare con ikioi, è assumere il ruolo di motore dell’azione, generare l’energia necessaria e sfruttarla.

Hazumi, è l’idea di rimbalzo. Come una palla che viene lanciata utilizza questa energia per rimbalzare, in hazumi non si è all’origine dell’azione, ma se ne subisce l’energia, la si accoglie e la si utilizza.

Ikioi sarebbe, a partire da una fase statica, un attacco diretto o una conseguenza dell’attacco, senza fermarsi davanti alla resistenza o alla reazione dell’avversario. Ikioi, è imporre la propria volontà in spregio dell’ostacolo. Per questo il Jūdō dai-jiten, che non separa queste due nozioni ma le raggruppa sotto una voce unica, può essere severo con ikioi: «Ikioi e hazumi: due condizioni importanti nel nage-waza. Spesso ikioi e hazumi sono considerati la stessa cosa ma, analizzando attentamente, ikioi sarebbe l’atto di forza mentre hazumi sarebbe l’ingegnosità. A parità di ippon, se si è fatto cadere l’avversario con la forza, se c’è molto ikioi, di conseguenza c’è poco hazumi e il valore della tecnica è minore. Una tecnica dai perfetti kuzushi, tsukuri e conclusa con hazumi, sarà apprezzata come una tecnica virtuosa.»[4]

«Jū no ri»

Paradossalmente, nella lingua corrente in Giappone, fare le cose per hazumi ha spesso una connotazione peggiorativa: dà l’idea di subire, di non essere padroni della situazione. Senza dubbio è per questo che Jigorō Kanō, nelle citazioni qui riportate, mette hazumi tra virgolette (ma non ikioi), proprio perché nel judo invece questa nozione è valorizzata. E questo perché fa riferimento all’idea stessa di jū no ri, il principio di adattamento riassunto da «quando vengo spinto, tiro; quando vengo tirato, spingo», all’origine della riflessione di Jigorō Kanō e… della nascita del judo! È l’idea di sfruttare l’energia che ci viene trasmessa invece di contare sulla nostra propria forza, cosa che permette da un lato di utilizzare il minimo di energia – una risorsa preziosa nella logica del combattimento – e dall’altro di poter potenzialmente sopraffare un avversario più forte di noi.

Ma non per questo ikioi è escluso dalla riflessione di Jigorō Kanō. Innanzitutto perché è una realtà del combattimento, dell’opposizione, ma anche perché ci sono momenti in cui jū no ri non è possibile o auspicabile. In effetti, in una fase statica, bisogna talvolta essere colui che ridà il via all’azione piuttosto che lasciare che l’avversario riprenda l’iniziativa e dispieghi un’energia che non si è sicuri di poter gestire. Ma anche in questo caso ci sono due modi di farlo: la prima – stigmatizzata dal Judo dai-jiten – consiste nell’imporre la propria forza negando la relazione, mentre la seconda nell’essere comunque all’origine dell’energia dispiegata, ma indirizzandola intelligentemente là dove il compagno è più debole. E questo corrisponde allora perfettamente all’idea formulata molto presto da Jigorō Kanō per completare, approfondire, l’idea di jū no ri: il migliore impiego dell’energia. Per dire le cose semplicemente parlando la lingua del judo, ikioi non legittima il judo «brutale» – quello cioè che utilizza senza finezza tecnica il massimo della forza – che ha, tra gli altri inconvenienti, il difetto grave di essere una «cattiva gestione» dell’energia.

L’energia di una proiezione di judo – come senza dubbio quella di ogni altra azione, comprese quelle della nostra vita quotidiana – può quindi essere ikioi o hazumi. Non è sempre facile distinguere l’una dall’altra, tanto la dinamica delle azioni-reazioni può essere sottile. A questo proposito è interessante notare che sia «hazumi» che «ikioi» possono essere scritti con lo stesso carattere, cosa che dimostra il loro stretto legame. In ogni caso, per attenersi alla logica che ci viene proposta da Jigorō Kanō, si tratta di fare l’una o l’altra cosa in funzione della situazione, del contesto, e sempre nell’idea, fondamentale per il buon uso del principio universale del judo, del «buon impiego dell’energia del corpo e dello spirito».

Bibliografia

[1] Kokushi, « À propos des règles d’arbitrage du combat de randori de judo », juin 1900
[2] Kokushi, « À propos des règles d’arbitrage du combat de randori de judo — 2 », août 1900
[3] Jûdô, « Explication des règles d’arbitrage du judo », juillet 1916
[4] Jûdô dai-jiten, Grand dictionnaire du jûdô, Atene shobô, Tôkyô, 1999
[5] Fondamenti del Judo, “Norme per l’arbitraggio del randori”, p.50, Luni Editrice, Milano, 2005

Fonte: L’Esprit du judo, mai-juin 2008, Yves Cadot
Traduzione dal francese: gennaio 2014, Angela Righi

Luca Stornaiuolo

Arbitro Nazionale Coni-Fijlkam di 1ª categoria, 4° dan di jūdō, allievo del maestro Raffaele Parlati 7° dan della Nippon Club Napoli, membro della Rappresentativa Campana dal 1999 al 2003 e di Kata dal 2008 al 2012. Diplomato al Kōdōkan di Tōkyō in jū-no-kata e Kōdōkan-goshin-jutsu. Ingegnere informatico, lavora come Senior Software Engineer. Autore del libro "Jū no Kokoro - Le mie ricerche di jūdō - Vol.1".

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